LA CASA DEI RICORDI
Lì, sulla collina la terra è generosa.
Se ti guardo da lontano sembri una piccola conchiglia bianca immersa in un mare di erba medica.
Sola.
Senza bisogno di nulla intorno.
Mi avvicino camminando, attenta a scansare le pietre sul sentiero battuto solo dalle scarpe dei contadini.
Ti guardo.
Io cammino.
Sei sempre più vicina.
Guardarti è magico, sembri uscita da un libro di ricordi.
Una casetta su due piani; piccola.
Davanti alla porta, una veranda, il gelsomino s'arrampica prepotente sul muro e odora tutto intorno.
Mi sento un'altra, in un altro tempo, cambio nome.
La prima cosa; buttare via le scarpe per camminare scalza e sentire le tue radici.
Le chiavi nella toppa fanno scricchiolare la porta, dall'interno esce una fresca brezza.
Il freddo della solitudine.
Le finestre sono chiuse; fuori è caldo, dentro è inverno.
Piangi sola.
Io ti riscaldo.
La scala di legno a destra è vecchia e malandata, la stufa arrugginita, nella credenza alcuni piatti bianchi e il piccolo tavolo di legno chiaro con la brocca d'ottone.
La brocca per il pozzo.
Il lavandino di pietra serena.
Le sedie impagliate malamente dal nonno.
"Il nonno...
Vestito con abiti grossi.
Pantaloni sempre marroni, di tessuto forte; sfilacciati in fondo per il troppo strusciare a terra.
Gli scarponi sformati, sempre polverosi.
La camicia a quadrettoni.
Lui si sedeva al fresco del glicine davanti casa con un pezzo di pane, tirava fuori il suo coltellaccio e tagliava il cibo e raccontava...
Raccontava di una vita tanto aspra di fame, di guerre vissute sulle spalle.
E rideva...
Le sue rughe contornavano il sorriso.
La bocca ricca di parole e povera di denti.
Io dentro, piangevo.
Lo guardavo e pensavo che poteva essere l'ultima volta che lo vedevo."
Ma ogni giorno passa.
La mattina mi alzo all'alba, scendo in cucina e faccio il caffè.
Nemmeno l'odore della bevanda copre il profumo della campagna.
Gli uccelli cantano impazziti, volano raso terra e si rincorrono nel cielo.
Non sembra nemmeno lo stesso mondo.
Non sembro nemmeno io la stessa.
Con la camicia da notte di cotone ricamata dalla nonna, la tazza blu in mano, mi siedo sotto il glicine.
Mi sento nulla nell'immenso.
Lì, i rumori sono assordanti, come fruscii magici che si intrecciano intorno.
Perdo la coscienza, mi purifico, vivo.
Ogni volta è un miracolo che io possa vedere, sentire tutto questo.
Aspetto di capire, di sentire.
Di continuare ad amarmi.
E' qui.
In questa casa.
Creata da mani affamate.
Piccola, ma bisbigliante di ricordi di chi ci è nato, vissuto e morto.
Questo è il posto dove vado.
Quando voglio solo me e nessun altro.
Giulia