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lunedì 27 dicembre 2010



UN ATTIMO PER ASPETTARE UN ANNO


Queste feste le sento un po' confuse, non ho una grande euforia, l'albero di Natale brilla lontano da me sorretto da un Angelo dorato e un nastro argento, non troppo vivace ma neppure spento e triste, come mi sento io in questi giorni...

Giocherò come un gatto nell'attesa dell'inizio nuovo con un gomitolo di lampi e tuoni, giocherò e sognerò la fantasia, guarderò mille e mille stelle brillare nella premessa di speranza e bene.

Guarderò le ali di nuovi Angeli coprire le spalle gelate dei bambini e dei vecchi che soffrono nel mondo in attesa dell'Amore di un sorriso.



Mi fermerò ad ammirare il nuovo quadro dell'ultima cena in cui Dio accoglie Giuda come il primo dei suoi figli.

Seguirò le orme dei tedofori nel cercare lo spirito del fuoco per regalarlo a un senzatetto.

Bacerò chi non rivedrò più se non nel cuore.

Perchè, dove non c'è nulla, cade l'ombra.

Un attimo per aspettare un anno e vorrei dirvi...

 "La bellezza di Dio non è nei suoi lineamenti da giudeo o europeo come lo figurano nelle cattedrali occidentali, ma nella sua frammentazione in pietre, alberi, cielo, terra e ogni movimento frettoloso nel mezzo, a volte in rapide sequenze o venti musicali".

Vi auguro che l'attimo atteso duri un intero anno o un'intera vita!
Buon Nuovo Anno di cuore!

Giulia

domenica 28 novembre 2010





L’ECO E’ CUPOLA, RIPOSANO LE ROSE

Fumano le nubi e urla la tempesta
sopra un cupo abisso ribollente

Non alla luna s’alza l’occhio immoto
né la tristezza sulla terra traversa

Dal tempio disertato l’eco risuona
dei passati canti trasuda i resti

Largo di secoli, sparve in memoria
d’occulte pene cause di nulla

Umane sofferenze tra l’ossa e carne
nel cibo di sangue divorato e offerto

Brividi di fiori in bocche mute
alitati in caldi petali cremisi

Giacente l'eco, echeggia eterno
sigillato al bacio della morte

Riposano d’istinto le rose sugli altari
l’immensità si sdraia al riverbero di Dio.


Giulia

giovedì 21 ottobre 2010




LASCIAMI LA VOCE


M'affondo nella tua bocca
nel rantolo della notte

azzurre labbra nude
color di bacio che feriscono i suoi orli

volume d'un petto triste
con denti di custodito avorio

l'acqua sostiene il corpo abbandonato
dove il suono non può dormire

le note indossano guanti malinconici
in un interminabile gemito di cicale.

Lasciami la voce
i miei roveti e desideri
e i cenci vuoti per vestiti.

Giulia


mercoledì 6 ottobre 2010





LA CASA DEI RICORDI

Lì, sulla collina la terra è generosa.
Se ti guardo da lontano sembri una piccola conchiglia bianca immersa in un mare di erba medica.
Sola.
Senza bisogno di nulla intorno.

Mi avvicino camminando, attenta a scansare le pietre sul sentiero battuto solo dalle scarpe dei contadini.
Ti guardo.
Io cammino.
Sei sempre più vicina.
Guardarti è magico, sembri uscita da un libro di ricordi.

Una casetta su due piani; piccola.
Davanti alla porta, una veranda, il gelsomino s'arrampica prepotente sul muro e odora tutto intorno.

Mi sento un'altra, in un altro tempo, cambio nome.
La prima cosa; buttare via le scarpe per camminare scalza e sentire le tue radici.
Le chiavi nella toppa fanno scricchiolare la porta, dall'interno esce una fresca brezza.
Il freddo della solitudine.
Le finestre sono chiuse; fuori è caldo, dentro è inverno. 

Piangi sola.
Io ti riscaldo.
La scala di legno a destra è vecchia e malandata, la stufa arrugginita, nella credenza alcuni piatti bianchi e il piccolo tavolo di legno chiaro con la brocca d'ottone.
La brocca per il pozzo.
Il lavandino di pietra serena.
Le sedie impagliate malamente dal nonno.

"Il nonno...
Vestito con abiti grossi.
Pantaloni sempre marroni, di tessuto forte; sfilacciati in fondo per il troppo strusciare a terra.
Gli scarponi sformati, sempre polverosi.
La camicia a quadrettoni.
Lui si sedeva al fresco del glicine davanti casa con un pezzo di pane, tirava fuori il suo coltellaccio e tagliava il cibo e raccontava...

Raccontava di una vita tanto aspra di fame, di guerre vissute sulle spalle.
E rideva...
Le sue rughe contornavano il sorriso.
La bocca ricca di parole e povera di denti.
Io dentro, piangevo.
Lo guardavo e pensavo che poteva essere l'ultima volta che lo vedevo."

Ma ogni giorno passa.

La mattina mi alzo all'alba, scendo in cucina e faccio il caffè.
Nemmeno l'odore della bevanda copre il profumo della campagna.

Gli uccelli cantano impazziti, volano raso terra e si rincorrono nel cielo.
Non sembra nemmeno lo stesso mondo.
Non sembro nemmeno io la stessa. 
Con la camicia da notte di cotone ricamata dalla nonna, la tazza blu in mano, mi siedo sotto il glicine.
Mi sento nulla nell'immenso.

Lì, i rumori sono assordanti, come fruscii magici che si intrecciano intorno.
Perdo la coscienza, mi purifico, vivo.
Ogni volta è un miracolo che io possa vedere, sentire tutto questo.
Aspetto di capire, di sentire.
Di continuare ad amarmi.

E' qui.
In questa casa.
Creata da mani affamate.
Piccola, ma bisbigliante di ricordi di chi ci è nato, vissuto e morto.
Questo è il posto dove vado.
Quando voglio solo me e nessun altro.

Giulia



venerdì 1 ottobre 2010




COME SEI BELLA

Dammi quello che voglio sulla terra nuda, fra le foglie umide.

Scoprire con mani sussultanti, la tua pelle di luna; pallida da farmi tremare.

Grondante di pioggia!
Ed è la pioggia che sa di perdizione, la pioggia ti scivola pietosa addosso lavandoti ferite.
Da baciare ed assaggiarne lembi e labbra, godere del tuo segreto sapore.
Dolce come la notte, dolce come questa notte insieme, nel parco, sulla riva del lago.

I tuoi capelli sono nidi di ragno e sentieri di streghe; sporchi di fango.

E la bocca!?
Dio la bocca perduta, desiderata.

Oh sì! Le mie mani ti accarezzano!
Sento ancora un pianto sommesso confuso con i lamenti,
sottili e ubriachi di vento che si insinuano nelle mie vene.

Sai del vino e del corpo di Cristo.
In te mutilata l’anima prendo la mia comunione.

Posseduta.
Straziata, ti raccogli nel mio ultimo bacio, ti sei concessa alla tua morte.

Ho visto il cielo tagliarti le vene, portarsi via la tua vita catturata dall’ultima luce di luna.

Come sei bella!
Bella da morire!

Giulia




martedì 28 settembre 2010



FILASTROCCA PER BAMBINI

"E' SERA..."
Il sol sta tramontando,
ha già le ossa rotte,
e l'usignol cantando
augura buona notte.

Riposan tutti quanti:
nel mormorio sommesso,
gli uccelli cinguettanti
il loro verso han smesso.

E lo scoiattolino,
già mezzo addormentato,
la noce sul giardino
di casa ha ormai scordato.

Nel buio gli occhi gialli
del gufo presuntuoso
vigilano in boschi e valli
con fare sentenzioso.

Le rane nello stagno
non gracidano più,
sorridono lontano
le stelle di lassù.

Son stanchi i caprioli,
già chiudono gli occhietti
si accucciano da soli
leprotti e coniglietti!

Giulia

lunedì 27 settembre 2010

sabato 25 settembre 2010



A MIA MADRE
Strapparti ai sassi che porti
come spine nella carne viva

fra i velluti d’immagini
fruscii d’aspettazione vaga

tu non muti sotto la luce bianca
del tuo cielo in calce

sono io che sento nel sangue
la polvere dei tuoi deserti

le tristi cantilene delle donne in nero
e il pianto delle generazioni

e sento ancora in te
l’antico strazio

e il disperato dolore
di tuo padre.

Giulia

mercoledì 22 settembre 2010






UN DIFETTO DI DIO


Nata da uno sbadiglio di Dio
Un suo sospiro involontario.
Nata così...
una lacerazione
nell'immobilità perfetta.


Incidente miracoloso,
imperfezione necessaria
che scivola senza difese
sul volto impassibile e freddo
di un Dio di pietra.

Giulia


martedì 21 settembre 2010





AL DONDOLIO DI MEZZALUNA
...attendo la goccia della notte...


Devolvo ogni gemma in bacio
al dondolio di mezzaluna

e pose naturali a innesto legato
sbocciato sui petti

e mi affilo inoculata corteccia
d’intaglio a due rami
uguali a se stessi

linfa e resine
e corbezzoli mori

mandorli di petali rosa

sciolgo le trecce
di seta filata

e bacio di te
ciò che il giorno mi nega

sarai acqua di vita
per la mia sete eterna

e quel filo che unisce
mani e bocca amor mio
mi legherà alla terra

e le mie ciglia lambiranno
le sponde dei laghi

e ci saranno lacrime più dolci
emissario di novelle e fiabe

nel vedere
un giorno che dura
fino alla fine.


Giulia

venerdì 17 settembre 2010


IN UN SOFFIO



Scioglimi così

senza voce né flutto

né furia di sospiri

in una fiamma informe

pena d'animo e senso

intagliami nel cuore

un Cristo Crocifisso

un'anima che vi dimori

bellezza di pietà.

Giulia 



giovedì 16 settembre 2010



LE SUE MANI SULLE MIE


Era un luccichio lieve.


Come quello delle lucciole brillanti, che di notte tra le ombre e il verde delle foglioline di prato, decoravano di magia ogni frammento del creato.


Quella luce era la mia pace, almeno in quel momento, fino a quando il bagliore si fece riconoscere con le sue guance rosate e una bocca piccola pronta a parlarmi.

Una bimba.


Una bimba dagli occhi dolci, sguardo sincero e con mani che afferravano il vento.
Nella sua armonia i suoi passi vivaci erano impegnati in un gioco divertente.


Come ogni cosa insolita che spaventa l'animo, la piccola turbò la mia quiete e sorridendomi mi mostrò tutte le sue avventure, in pochi minuti tantissime immagini.

Nei suoi occhi ogni piccolo scintillio folgorava la sua essenza di piacere infinito.

Era piena di ambizioni e gestiva la sua tenerezza nel modo più caloroso possibile, guardandola mi liberai dalle angosce e la donna che apparivo ricordò l'infanzia dimenticata.

C'era tanta differenza tra lei e me.


Sfiorava un fiore e gioiva nell'accarezzarlo; un po' mi rattristai notando che di quel fiore io non ne avevo notato nemmeno il colore.


Mi invitò a giocare ma rifiutai perché ero troppo impegnata ad affrontare le mie paure.
Parlò con la luna raccontandole i segreti più nascosti ed io invece mi preoccupavo solo del buio circostante.


Era ciò che anch’ io ero stata, era simile alla libertà poiché non conosceva confini, apprezzava le piccole bellezze.


Era più forte di me poiché era semplice, la sua semplicità era la sua arma e qualsiasi ostacolo diventava il suo gioco.


La sua figura era piena di inebrianti essenze e pian piano io inalavo tutto ciò che di puro poteva donarmi e iniziai a sorridere.


Riuscii ad abbracciare quell'anima solo quando anch’ io iniziai a giocare, solo quando cantai alla luna, solo quando le sue mani sulle mie mi guidarono a sfiorare i fiori e a scoprire che davvero davano gioia.

"Bisogna essere anche bambini per accorgersi di quanta vita c'e'".


Il mio sussurrare attirò la sua attenzione e lei, emozionata spalancò gli occhi e gridò ridendo:

"Finalmente posso dirti che sono la bambina che c'e' in te"


Giulia

venerdì 20 agosto 2010


In questo periodo sto lavorando a contatto con persone speciali che mi donano qualcosa di nuovo ogni giorno; dedicato a loro questo post.

I FIORI DEL NIENTE

Sembravano arrabbiati.
Arrabbiati e confusi.
Forse combattuti tra ciò che vedevano e ciò che credevano di vedere.

Guardavo i miei genitori per la prima volta.
Il dubbio, sempre quello.
Quel dubbio che ti lacera con la silenziosa facilità di un bisturi.

Glielo leggevo nei solchi della fronte, nella smorfia tirata delle labbra, nei loro occhi.
I pugni stretti trattenuti, puntavano ancora lo sguardo su di me.

Alcuni gesti vanno oltre l’intenzione, non sempre le parole gestiscono gli stessi.
Io, non sono stato capace di fare altro che emettere un vagito.
Per me, il mondo esterno era ancora irraggiungibile.

“I cromosomi sono piccoli animaletti che si combinano tra loro per creare coordinate; muscoli pelle e sensazioni”, ma l’anima no, quella non la toccano, non è affare loro.

Ero quasi rassegnato ad essere diverso; sindrome di Down era stato il loro verdetto.
E pensare che in un primo momento l’avevo scambiato per il mio nome!

Sono nato e questa mia percezione distaccata mi permette di gestire le mie cose.
Non vorranno farmi credere che ho una regressione a livello celebrale?
Non stanno per caso vaneggiando?
Vogliono forse convincermi che sono incapace di pensare?

Non sono altro che un semplice bambino.
Eppure ogni giorno mi controllano, mi studiano e con giri di parole senza senso cercano di plagiarmi.

Dicono che sono malato, ma io non credo a tutte queste menzogne.
Si ritengono esperti in un campo che per loro sarà sempre inaccessibile.
Loro, che ci tengono così tanto a farsi chiamare dottori.

S’illudono di trovare una spiegazione logica e scientifica, anche nei casi in cui è evidente che non n’esiste una, ma io non mi lascerò ingannare, anche se mi hanno rinchiuso qui dentro, fra queste quattro bianche e tristi mura.

Per alcuni sono il numero 25, quello del letto, per altri sono il piccolo K, per i dottori sono Kim.
Non riusciranno a spaventarmi e a convincermi che sono anormale.
Io ho raggiunto l’acutezza massima dei sensi poiché l’amore è più forte che qualunque cosa.

Loro sanno udire soltanto le voci di chi è presente fisicamente col proprio corpo e sono incapaci di abbattere le barriere del reale, come invece so fare io.

So che la mamma è triste da quando mi hanno portato via.
Lei soffre e le manco, mi osserva con curiosità ed affetto, non ha risposte da darmi, ma almeno lei ci prova a non deludermi e mi piace quando lo fa, perché ogni volta mi dona una carezza e mi dice “il silenzio di chi tace ha molto da dire…”.

A volte smette di ascoltare i miei occhi e mi fa cenno di no, mi sfida a muso duro o col sorriso.
Vuole che faccia da solo.
Mi arrabbio e penso che non capisce quanto mi costi questa cosa.
Vorrei saperle spiegare questo fatto.

Ci provo a riassumere certi meccanismi.
Li comprendo.
Il problema è che qualcosa non li fa funzionare.

Alla fine la mamma lo sa che ci ho provato e mi accarezza sempre la testa, la sua mano tradisce la sua anima.

Ogni pensiero, ogni sentimento, proviene da una sola fonte; il mio cervello.
E’ il mio cervello a contenere l’anima.
L’anima come tutte le energie ha bisogno di espandersi, pensano che io non ce l’abbia solo perché non parlo molto bene.
La mia è vera e unica.
L’innata e particolare sensibilità mi ha permesso di capirlo.

Libero il mio spirito, permettendogli di librarsi leggero nel cielo, fino a salire sempre più in alto.
L’innocenza e la purezza si combinano insieme per formare una luce

Tutti hanno un tesoro, un pensiero, esperienze da donarmi, questo mi permetterà d’essere come ho sempre voluto.
Ma la mia metamorfosi non è ancora completa, ho ancora molti veli da scostare.
E’ faticoso, ma io ci provo.
Anche se a volte si perde la speranza persino di sperare.
O è follia anche questa?

Ci vuole l’intenzione per comprendere “noi di dentro”.
Siamo isole che il mondo evita, fiori del niente.

Qualche volta mi convinco che con voi di fuori e noi di dentro non sia ancora tutto perduto.
Qualcuno ancora ci crede.

"Ora prestami attenzione bambino…non avere paura per la mamma, le ho spiegato tutto e ha capito perfettamente cosa deve fare.
Vedrai che andrà tutto a Meraviglia !".

Giulia 

lunedì 16 agosto 2010

LEGGENDE

La tradizione contiene un fascino universale.
Le leggende, le fiabe, le storie tramandate oralmente sono sempre state in grado di vivere passando di bocca in bocca per centinaia di anni.
Ci hanno fornito l'accesso all'antica esperienza umana.
Nel mondo di ora, gran parte del contenuto della coscienza delle persone si è trasformato.
Curvi sul computer o di fronte al televisore possiamo ricevere informazione e impulsi elettronici che hanno secondi di vita.
Mai come adesso abbiamo bisogno di libri, di storie e soprattutto di racconti che riguardino la nostra identità culturale, come le fiabe e le leggende.
Non solo per i bambini.
Abbiamo lasciato l'infanzia con un bambino vivente dentro di noi e dobbiamo convivere con lui.
Coloro che lo hanno protetto sempre, sono di solito gli adulti più forti.
Le leggende sono storie popolate da esseri fantastici, da personaggi storici, da umili persone, da animali, da diavoli, da santi, da folletti e fantasmi, da streghe e fate.
Le leggende in particolare sono in grado di ricostruire un tessuto legato agli elementi fantastici di un luogo, devono colpire la fantasia, avere alla base un elemento misterioso, affondare le loro radici fino in fondo all'anima di un popolo e far rivivere le origini, le vicende e i costumi.
Nascono dove l'ambiente naturale è più austero, dove l'orizzonte pone delle sfide alla sopravvivenza.
Nelle leggende si parla spesso di sfide tra il bene e il male, tra gli animi buoni e gli spiriti infernali e nei secoli la fantasia popolare si è sbizzarrita.

E' facile lasciare scivolare la fantasia...

"Lungo un corso d'acqua, in un buco profondo nascosto dalle fronde degli alberi, abitano i folletti del fiume.
Nessuno li ha mai visti, tanto sono piccoli e veloci, ma tutti sanno che ci sono.
Si acquattano di notte sotto i ponti, spiano chi si avvicina attraverso il folto dei cespugli, urlano e fischiano come il vento prima di una burrasca.
Un tempo quando la gente andava a fare il bagno vicino alla buca, sentiva i risolini alle spalle e voltandosi aveva l'impressione che una ranocchia si fosse tuffata nell'acqua; erano i folletti".

Ancora...

"Accadde un giorno, una grossa pietra si staccò da una aguzza roccia di un monte e precipitò nel fiume facendolo spumeggiare e creando una barriera che impedì all'acqua di proseguire.
Tutto intorno fu sommerso e si creò un vasto lago.
Arrivò a lambire l'entrata di una grotta sul fianco della montagna, nascosta da una selva fitta e impervia.
Una leggenda narra che prima del sorgere del sole di ogni solstizio, quando la luce si tinge di un azzurro intenso e fumoso, la terra, le foglie, i tronchi degli alberi e le rocce sparse sembrano esalare un aroma intenso e pungente, è il momento in cui le Fate si affacciano sul luccichio del lago, suonando gigli e gelsomini e cantando a memoria la formula magica incisa sull'albero più alto del dirupo".

Mi viene naturale, mi aiuta a vivere e guardare con altri occhi il mondo.

Giulia

venerdì 14 maggio 2010


COME UN SOSPIRO ATTRAVERSO L’ANIMA DI UNA FATA

" Non sapendo quando l'alba possa venire
lascio aperta ogni porta,
che abbia ali come uccello
oppure onde, come spiaggia. "
(Emily Dickinson)

Tutto ciò che muore nasce di nuovo, luce e buio hanno entrambi il loro luogo, lasciate che dentro di voi regnino bellezza e forza, onore e umiltà, perché se non troverete dentro di voi ciò che cercate non lo troverete in nessun altro luogo.” Giulia.

Sono nel mio tempo, ancora amo raccogliere verbena, timo ed iperico sotto i biancospini in fiore.

Qui da me ci sono altari che profumano d'incenso, acqua fresca tra le foglie, rami dove ombreggiano le rose e le brezze spirano dolcemente.


Le antiche leggende parlano di me, dei miei segreti, della magia che si sprigiona quando canto o danzo con fiori e animali e la natura intorno riprende a fluire, ad infondere nuova vita al mondo addormentato.
Mi diverto a camminare sui fili d'erba, volare tra gli alberi, parlare con gli uccelli, giocare con i pesci inseguendoli con lo sguardo nelle acque dei laghetti e nonostante l'affanno del cuore il mio viso rimane luminoso, tranquillo, colmo di tenerezza.
Cammino leggera a mani aperte.
Con la testa che balla di passi scomposti, nelle brughiere tra acqua e cielo.
Raccolgo le piccole gocce veloci che non cadano secche perché ogni lacrima è una goccia di vita che si espande a toccare le sponde e poi diventa aria che continua a spostarsi.
Tra le ciglia trattengo una liquida luna.
Avanzo scalza fra le ombre dove piccoli raggi di luce pallida disegnano lievi spirali sui miei piedi indicandomi il sentiero.
Approdo sugli argini fragili a raccogliere sassi sotto la torba e li restituisco all'acqua limpida, perché si veda trasparente.
La voce della terra ha il colore dell'acqua.
La voce del cielo ha la forza del mare che sulle orecchie toglie ogni suono.
Mormorii ammantati di brina e nebbia a lenire graffi, le mie vesti azzurre sono troppo leggere per proteggere dalla vita, ma ho ali grandi incurvate dal sorriso.

Ogni spazio si colma di me lungo lo scorrere.

Un canto mi viene dalle profondità del tempo, seguitemi e vi racconterò le storie narrate dal vento, vi insegnerò a essere leggeri per volare incontro ai vostri sogni.

Credo, vivo e specchio il mio riflesso nei fitti boschi oscuri, alle fonti dell'inizio dove si ode il pianto dei cigni fra le pieghe dei mondi.
Le mie chiome sono manti verdi possenti, scossi da soffi d'eternità.

Dalle maree ai cicli del tempo spargo petali di fiori avvolti dalla bruma dell'alba, fino a farmi culla e specchio di me stessa.

Il silenzio ondeggia infinito qui, si sente lo stormire delle ultime foglie.
Il rumore di un bocciolo spuntato troppo presto.
Tutto è magico e fatato nell'incanto delle notti di luna che accompagnano i miei sospiri.

Non ho luogo dove andare, ma lascio orme leggere al mio passaggio.



Giulia

giovedì 29 aprile 2010

FLY ME TO THE MOON *

Ora la pista è una distesa scura fatta eccezione per le luci che si perdono mentre l’aereo sale, é il decollo a lasciarmi senza fiato, ho l’impressione che ogni volta il distacco sia per sempre…

Ho guardato nelle tenebre senza cadere nel cinismo, ho saputo mantenere una sorta di integrità umana e di naturalezza, il mio istinto di sopravvivenza è stato più forte, ora non credo che l’inferno si possa quantificare, ma so cosa dire quando cerco di comunicarlo e a volte mi chiedo se le immagini che ho messo su pellicola, non trasmettano che una frazione dell’orrore di quelle impresse nella mia mente, ora so che le persone innocenti non ti guardano una seconda volta. Ho vissuto qualcosa di veramente tremendo verso cui sentivo l’obbligo morale di reagire, c’è forse uno stupro che non sia tremendo da vivere o vedere? Non vi è differenza tra quello del fisico e quello del cuore, i sintomi esterni non sono sempre ovvi e presenti, ma i danni interni sono rapidi e in forma più grave. E’ difficile credere ancora, ti senti un animale e la gentilezza non trova neppure una vena in cui pulsare, pensi solo a mordere prima di essere morsa, il mondo è pieno di gente con strani appetiti, con una visione particolare della vita o morte, ma nessuno sa dove stia andando. Forse ho delle velleità di giustizia ora, ma i miei occhi sanno ancora vedere; l’inganno è un arte che consuma. Se ripenso al passato, non mi è difficile vedere tutta la vita come una fuga, tutti i miei sforzi per comunicare, per appartenere a qualcosa, tutto un disperato tentativo di riscatto, ma le illusioni sono il nostro bene più prezioso e la strada che porta ad esse è una via solitaria.

IN THE WIND

Solo il nero della notte ad alta quota,

le mie ali sono di metallo,

il corpo mi si allenta,

mi si inoltra in se stesso,

nel suo brivido…

E’ cambiato tutto ad una velocità impressionante, con una violenza ed una vitalità incredibile.

Io non so se sono stata rapita all’inizio del tempo davanti a un labirinto, so però che in certi mattini profondi sento dentro di me un’onda che sfugge a qualsiasi controllo, che non può essere dominata.

Si alza come il vento che corre sui campi, per cabrare verso le nubi e poi precipitare in lacrime e piogge, ma senza che mai nulla giunga veramente al suolo.

Ogni frutto traspare dalla propria gemma, così la lacrima rimane nel suo occhio, la pioggia nella sua nube e la polvere nella tasca buona dei cadaveri.

Guardo le vecchie foto, ma non so più la strada e mi chiudo in un brivido forte, nell’abbondanza di un inverno, davanti alle rovine di un silenzio.

Solo i passeri credono di far nascere il sole con il loro canto e i cespugli di crescere pieni d’ali perché vi si posano i fringuelli.

La notte è un fungo che mi cresce dentro come un buio,

mi sento pelle ed acqua, un campo di destini, un filo da lontano,

la mano stringe la tela della gonna,

le unghie si rifiutano di entrare nella carne,

ma il dolore non si cuce…

Ho freddo, ho voglie ancora intatte, vivono nel mai e nel sempre, dove l’anima patisce qualche colpa remota in una zona d’ombra, dove non c’è confine tra terrore e pazzia.

La mia voce è sottile come il ricordo delle bambole sfatte dell’infanzia; loro riposano nella memoria.

Forse bisogna afferrarla, stringerla la vita, anche al riparo di una disperazione o sul fondo della terra dove ti hanno cavato il cuore, dove c’è sempre meno luce, da quella sponda viola come il crepuscolo, ma questo è il mio cielo, mi sgretola, disfiora, è immenso e mi appartiene tutto.

Giulia

*The Voice

sabato 3 aprile 2010

Buona Pasqua

Ma due anime c’è l ’ha anche questo mondo?

Vi ricordate le cartoline di Pasqua, quelle che giacciono dimenticate nei cassetti della sala, sotto lo scompartimento dei servizi buoni?

Colori pastello, soffici e luminosi come i pulcini e i coniglietti che saltellano su prati verdi, agnellini e pecorelle che si rincorrono, uova di Pasqua che si confondono fra le erbe con le uova vere, cieli azzurri e rami leggeri, aleggiante all’orizzonte una timida nuvoletta, fra mandorli e peschi in fiore; l’aria ancora fresca diventa più tiepida al solo guardarle.

Pasqua è come la primavera che si rinnova, qualche famiglia continua a portare i bambini in campagna, così, perché vedano la natura, le cose vere.

Il pollaio puzza, però è interessante vedere avanzare oltre il reticolato un gallo “petto forte”: ti guarda con aria di superiorità, come un capo famiglia, per poi passare a valutare gli altri componenti, vede passare altre persone, gente di paese, giù dai gradini del passo, ma non gli presta attenzione, le galline si sono radunate dietro di lui, più in la, gli anatroccoli, molto più belli dei pulcini, rincorrono la propria madre, qualche tacchino ruota e il cane continua a fare il suo mestiere, tra uno scodinzolamento e un abbaio.

In cucina, coltellaccio fra le mani, la signora Ada taglia il coniglio, imprecando alla mala sorte perché non riesce a dividerlo bene, ma quando compra le cartoline da mandare ai nipoti si sofferma ad ammirarne i colori delicati, l’armonia di vita.

Solo pochi fortunati possono sgambettare in un cortile; ma tutto non si può avere!

A tutti voi auguro una Pasqua intensa di speranza, di pace e di solidarietà.

Giulia

mercoledì 10 marzo 2010


ERO LAGGIU’
Ero laggiù. Me lo ricordo bene. Ero io e l'altra me stessa mi stava a guardare e rideva, feroce e spietata, come ride l'avvoltoio quando l'ora del condannato è giunta e sa che presto divorerà la sua preda. Ero laggiù ... Me lo ricordo ... Lei rideva, rideva ... e io ero ... io ero.
Di questo passo non potrò resistere ancora per molto.
Forse per questo mi sono convinta a lasciare qualcosa di me che non siano soltanto le tracce di un anonimo corpo disperso.
Ammesso che la mia stessa mente sia ancora capace di comprendere ciò che vede o non vede, ammesso che non sia soltanto un sogno illusorio di ciò che mai è stato.
Ma io ero laggiù ... questo lo so con certezza!
Ed è l'unica cosa che brilla reale "reale!" A parte una luce che filtra sbiadita da quella fessura e che sembra osservare ogni mio movimento.
Il pensiero è tutto quello che mi hanno lasciato!
Alcune volte, mi capita di percepire una voce "una voce!"
E non so dire se sia una voce o piuttosto un'assenza di rumore tale da produrre in me l'effetto di una voce ... ma io per natura sono sempre stata propensa ad analizzare ogni questione e in fondo ora questo non mi interessa più di tanto.
Se sia una voce o il frutto della mia fantasia non ha importanza, perché in fondo l'unica cosa che mi importa in questo momento è scrivere e raccontare, finché me lo permetteranno, perché vedete, ho proprio l'impressione che il mio tempo stia per scadere e la sensazione, pensandoci bene, non è poi così brutta.
L'unica cosa è la certezza reale di ciò che mi sta di fronte: un'Ombra. E io che guardo nel buio cercando di immaginare cos’é quel luogo, laggiù, quella culla di pianto piena di cose che ho sempre saputo, quello strano rifugio che odora di mare e di vento ... quella Cosa che mi chiama, che mi vuole ...
Posso sentirne il respiro. Posso percepirne l'essenza rifranta tutta intorno a me, come in un sogno fatto di polvere.
Una mano mi afferra, avvolge le sue lunghe dita lungo il mio braccio, mi stringe e io mi lascio trascinare senza fare obiezioni ... senza pormi domande, stranamente, senza paura.
Mi lascio trascinare, fino al fondo del baratro ... mi lascio trascinare, quasi senza più vita ... come in un fiume.
Per quanto mi sforzi, la mia mente si ferma ad un unico punto: Me Stessa. O meglio, il riflesso di quella persona che prima sono stata…” io” o che ho creduto di essere e che evidentemente, in un modo o nell'altro, non sono più.
Non so come sono arrivata qui dove sono ora, non so cosa è stato a trascinarmi via dalla mia vita e a gettarmi in questo tetro abisso ... non so neanche da quanto tempo sono qui, la luce sbiadita che filtra da quella fessura è sempre presente.
Forse in questa realtà il sole non esiste nemmeno o forse è la luna che non esiste.
Forse, ancora, è semplicemente il tempo che non ha spazio né luogo e quella luce fioca è la dimora eterna della coscienza universale.
Ma che importa! ... "non importa!" ...
Che volete che me ne importi adesso di queste stupide argomentazioni filosofiche!
... "stupide!" ... "stupide!" ... "stupide!" ...
Sono stanca ... e perdonatemi, davvero ... Vedete ... non potete sentirla la voce ... ma lei è qui con me ... lei è sempre con me ...
Ma la mia speranza sta cercando di sopravvivere.
In realtà io credo che sia lei a pensare che la soluzione sia facile, perché in effetti io non ne ho la minima idea e dopotutto, leggendo tra le righe, non sono poi così libera come credevo ... forse anche il mio pensiero è sottomesso al suo volere.
E non potrà capitarmi nulla di peggio, vi assicuro!
Una volta che hai conosciuto la parte più oscura di te, non puoi più avere paura di niente!
…” la parte più oscura di te !” …
La voce… l’ho sentita di nuovo, venuta da dentro…un mio pensiero diventato reale…
... "lolo saisai chichi sonosono!!"
"staistai ingannandoingannando tete stessastessa!!" ...
Morirò in questo luogo spaventoso divorata dalla follia e nessuno mai saprà la verità. Nessuno ... nemmeno io ...
Uccidimi adesso! Se è questo che vuoi, fallo subito! Non mi importa più di niente!
Fammi morire ! Ma smettila ...
"Andare o Restare ... è una risposta che vuoi ...
Andare o Restare ... una risposta non c'è ...
Andare o restare ... tu credi che io abbia potere ... ma il mio potere è quello che tu stessa mi hai dato ...
Andare o Restare ... è questo che devi capire ...
Andare o Restare ...
Io sono quello che pensi
Andare o Restare ... sono la casa dell'irreale ... sono la cripta dei tuoi desideri ...
“... sono la culla della tua Fantasia ... "
Ha risposto !... Voi non avete sentito, ma ha risposto, ha detto la verità!
L'altra me stessa non riderà più, non parlerà più, non mi ossessionerà più. E' lì, la vedo, immobile come un giardino di fiori appassiti, è triste ... è il ricordo di un riflesso ...è ciò che mi chiamava ... che mi attirava ... è l'ombra del suo spettro ... del mio spettro ...
In eterno andiamo alla ricerca ... finché un luogo estraneo a noi, eppure dentro noi, ci confonde.
Io sono qui ... e sarò qui per sempre . Se vorrete, un giorno ... venitemi a trovare .
Se il tempo non esiste, nemmeno questo esiste . Nemmeno il foglio e questo inchiostro con cui scrivo.
Se il mondo non esiste ... forse un sogno può sembrarci vivo.
O forse, il sogno è solo un mondo ... e il mondo è solo un sogno di ciò che siamo stati
e che non ricordiamo ...
Giulia

domenica 7 febbraio 2010

IN PLUMBEO

...un lieve soffio d’Angelo a toccarmi...

Mi annido tra le pieghe del desiderio nelle rughe della memoria nel lino stropicciato d’orgasmi senza domani sul filo della ragione a guardarmi l’anima in caduta libera tra colline di marmo e viole e more sospesa nell’aria come farfalla insanguinata con la lingua senza parole con la carne dolente e calda con le labbra a leccare dall’interno seta sulle voglie in solitudine vago condannata dal mio giaciglio silenzioso attraversando vortici d’affanno ma di te non so spogliarmi ne’ dei tuoi morsi d’amore cadono sciolti i miei capelli caldi come raggi di miele di seta orientale i miei riccioli biondi recido sul ceppo sacrificale per espiare l’antico peccato chiudo gli occhi incenso seduce l’aria purificato come la veste di un Angelo carezza acque di cristallo

Giulia


Quadro dipinto su vetro da Giulia

SONO PERICOLOSE IN CASO D'URTO ?


Il fatto che la vetrata sia un mosaico di tessere di vetro la rende più resistente alla rottura, perché più elastica.
Le tessere sono generalmente piccole, lo stagno che le contorna non ne permette la caduta in caso d'urto.


Laboratorio Vetro in Arte - Stresa

Non sarà troppo da chiesa?


Spesso si teme che inserendo un vetro artistico nel proprio appartamento, l'abitazione prenda i connotati di una cattedrale.
Questo sicuramente perché le vetrate sono state utilizzate moltissimo nelle chiese e lo sono ancora. Addirittura si parla di vetrata cattedrale, mentre sarebbe più corretto dire "vetro cattedrale".
L'utilizzo delle vetrate nelle cattedrali nordiche era necessario, sia per raccogliere più luce possibile, sia per diminuire il peso che le fondamenta dovevano sorreggere.
Ma la collocazione nelle abitazioni private cambia il concetto d'uso, i disegni diventano più leggeri e sobri seguendo linee più armoniche in sintonia con l'arredamento.

LA LAVORAZIONE TIFFANY

"Tiffany" è una particolare tecnica creata da Louis Confort Tiffany, pittore e vetraio fra i principali esponenti dell'Art Noveau di fine ottocento.

Questa tecnica consiste nel tagliare forme di vetro ( anche di piccole dimensioni ) molarle con l'uso di una mola ad acqua e nastrarle con una sottile lamina di rame od ottone cosparsa di colla di pesce per farla aderire al vetro.

Unendo i pezzi come un puzzle si compone il lavoro definitivo che verrà saldato con una lega di stagno, argento e piombo.

La saldatura può essere brunita ( anticata ) con speciali acidi ossidanti che creano un effetto molto simile alle vetrate a piombo medievali.

E' una lavorazione molto "fine" con cui si ottengono risultati accurati e armoniosi, non raggiungibili con il piombo classico.

Giulia



Tutta la pubblicazione successiva fa parte della mia Tesi conclusiva della Scuola d'Arte frequentata. 1996.

STORIA DEL VETRO

In Europa nel primo medioevo le botteghe dei maestri vetrai sorgevano in località situate vicino a grandi foreste dalle quali traevano il combustibile necessario per fondere il materiale, soprattutto le felci, una volta incenerite davano origine alla potassa necessaria per la formazione del vetro.


Per questo la varietà tedesca di vetro in quel tempo (fra il verde ed il giallo-bruno) fu chiamata “vetro di foresta” mentre quella francese prese il nome di “vetro di felce”.


Nell'Asia Minore e in Egitto, intanto il livello dell'arte vetraria restava altissimo, vasi, bottiglie, coppe, piatti erano formati seguendo un sistema molto simile a quello che doveva far diventare poi famosa nel mondo l'arte dei vetri muranesi (quando il vetro era in stato di fusione si dava all'oggetto la forma desiderata usando delle lunghe pinze).


La decorazione veniva eseguita in un secondo momento applicando filamenti di vetro dello stesso colore o contrastante oppure si utilizzava la tecnica dell'intaglio; già nota da secoli sia a Roma che in Asia Minore.


L'arte islamica del vetro favoriva una grandissima utilizzazione del colore a scopo decorativo.

Il sistema usato era questo:
Smalti composti da materiali colorati a punto di fusione bassa, venivano stesi in uno o più strati sull'oggetto da decorare e poi fissati mediante una seconda cottura in forno (come ancora si fa oggi).


Considerevoli, tra i tanti oggetti che ci sono giunti intatti, sono alcune grandi lampade destinate ad illuminare le moschee, decorate con versetti del Corano datati fra il XII e il XIV secolo.


Il fatto che venivano sistemate molto alte sul soffitto, lontane dalle mani di chiunque, ha favorito la loro conservazione attraverso tanti secoli.
Giulia - (continua)




LE VETRATE DIPINTE

In Oriente, fra il X e il XIII secolo, si afferma un ramo particolare della vetreria, prima quello che riguarda le vetrate dipinte ed applicate sulle lunghissime e strette finestre e sui rosoni delle grandi chiese romaniche e poi su quelle gotiche.

Rapidamente la vetrata policroma istoriata con particolari della vita o dei miracoli di personaggi e santi si diffuse in tutta l'Europa attraverso gli ordini religiosi, in modo particolare attraverso i Benedettini che la usarono per tutte le loro chiese ed abbazie chiamando alcune volte illustri pittori per collaborare con i maestri vetrai per la realizzazione di opere stupende.
Fra le vetrate di chiese antiche, vi ricordo quelle della Cattedrale di Poitiers in Francia; risalgono al 1165 D.C. Circa.
Giulia - (continua)


Cattedrale gotica di Exeter Cornovaglia.

CHE COSA E' IL VETRO

In senso teorico è un materiale solido, amorfo (privo di forma), trasparente, ottenuto ad alta temperatura (1200/1500 C° - 1700 vetri speciali) un miscuglio di sabbia silicea e due basi, di cui una deve essere alcalina (viene impiegata soda) e l'altra un alcare terrosa (si impiega un calcare che deponendolo nel forno dà ossido di calcio e libera anidride carbonica) o un ossido di metallo pesante (piombo o zinco) e si lascia poi solidificare lentamente la massa liquida ottenuta.

A questi tre componenti essenziali vengono poi amalgamate altre sostanze con funzioni di fondenti, stabilizzanti, ossidanti, ecc.

Molto importante è anche la decolorazione del vetro che data la presenza inevitabile di alcuni sali ferrosi, si presenterebbe verdastra, (vedi le bottiglie che si usavano un tempo per imbottigliare il vino) si ripara a questo aggiungendo del biossido di manganese (comunemente chiamato sapone dei vetrai) che ossidando elimina l'inconveniente.

Il vetro così definito è detto vetro comune o vetro solido calcico. La sua composizione è molto variabile ma in media rappresentabile come segue:

SI -02=75% = NA 2 0=15% = CAO =10%

Oggi si producono almeno un migliaio di vetri diversi, destinati agli usi più disparati. Ne cito alcuni che più frequentemente si incontrano nelle applicazioni correnti.

IL VETRO CRISTALLO è un vetro di notevole brillantezza e trasparenza, nella sua lavorazione si impiegano ossidi di piombo e di potassio.

IL PIREX è un vetro borosilicato, particolarmente apprezzato per la sua resistenza meccanica e di calore.

IL VETRO DI JENA è di qualità particolarmente controllata, è un vetro contenente ossidi di zinco, bario e manganese ed è molto adatto alla fabbricazione di strumenti scientifici.

IL VETRO OPALINO è ottenuto realizzando una sospensione di piccole particelle nella massa base; poiché le particelle hanno un indice di rifrazione diverso da quello della matrice vetrosa, la luce viene diffusa e si ottiene un aspetto lattescente.

Giulia - (continua)



PRODUZIONE DEL VETRO FUSIONE

I fori per la fusione del vetro sono di due tipi, continui a bacino per grandi produzioni o discontinui a crugiolo per produzioni non rilevanti o a carattere qualitativo, normalmente essi sono riscaldati bruciando dei gas.

La fabbricazione degli oggetti in vetro può essere fatta a caldo (caso più frequente) o a freddo.

La lavorazione a caldo si effettua sulla massa vetrosa uscente dai forni e può essere automatica (riduzione in continuo di lastre, tubi, ecc.) o manuale, quest'ultima è oggi relativa a produzioni a carattere artistico o su scala artigianale.

L'operatore preleva sulla punta di un tubo una porzione di vetro fuso semiraffreddato e soffiando nel tubo aiutandosi con speciali utensili o stampi, provvede a formare uno per uno gli oggetti.

Sempre a caldo il vetro può essere stampato per ottenere oggetti come bicchieri, vasellami e simili. Gli oggetti in vetro lavorati a caldo devono essere cotti di nuovo per eliminare le tensioni interne che si creano nella massa per effetto del raffreddamento. L'artigiano si avvale in seguito delle tecniche di molatura e smerigliatura.

VETRO CEMENTO materiale composito ottenuto annegando nel calcestruzzo delle formelle di vetro; in tal modo si ottengono delle lastre impiegabili per lucernai, divisori, ecc. Può divenire addirittura strutturale nell'edilizia una volta armato.

VETRO ORGANICO termine corrente, ma estremamente improprio con il quale vengono indicate alcune resine (acriliche e viniliche) con le quali è possibile colare lastre o stampare oggetti di vario genere di aspetto molto simile ai prodotti in vetro vero.

Giulia - (continua)



Vetrofusione

LA MEMORIA DEGLI OGGETTI

Degli oggetti d'uso comune pochi sono giunti intatti sino a noi.

Possiamo però avere un'idea delle forme più in uso osservando le miniature, i dipinti, gli affreschi che venivano rappresentati con ricchi dettagli.

Così sappiamo che in epoca merovingia in Francia erano di moda le coppe fornite di piede, certe bottiglie dal collo molto lungo e dal corpo rotondeggiante, bicchieri conici ma con fondo piatto; in Germania nello stesso periodo si fabbricavano bicchieri conici con base molto stretta e decorazioni applicate a forma di piccole gocce.

Numerosi sono i trattati scritti sull'arte datati all'età medioevale, tutti interessanti per lo studio delle tecniche usate e la storia del costume.

Anche per l'età gotica sono pochi gli oggetti che possiamo studiare, numerose sono però le fonti iconografiche alle quali attingere.

In Francia grandi centri di produzione sorgevano in Lorena, in Normandia, in Provenza, presso i Pirenei, mentre l'arte vetraria assumeva una sua altissima dignità e grande amore tanto da assicurare a quanti la praticavano con particolare maestria il titolo nobiliare di "gentil homme verrier".

Giulia - (continua)


ARTE A VENEZIA

Un grande avversario si presentò all’orizzonte dei maestri vetrai francesi agli albori del Rinascimento; l’Italia.

Questa volta però non erano gli artigiani di Roma che si affacciavano alla storia dell’arte ma quelli fino allora quasi sconosciuti di una città giovane, sorta come per incanto sulle sponde dell’Adriatico; Venezia.


A Venezia erano affluiti nel corso del medioevo maestri vetrai e mosaicisti dell’Asia Minore, con l’incarico di fare della città una delle meraviglie del mondo.

Molti avevano lavorato per un certo periodo e poi erano tornati in patria, ma molti altri avevano preso dimora

stabile aprendo botteghe frequentate da allievi volenterosi, intelligenti e amanti del bello.

Non tardarono a diventare più abili dei loro insegnanti in tutte le arti decorative.


Costretti a rifugiarsi nell’isola di Murano a causa degli incendi violenti che spesso divampavano nei quartieri cittadini in cui avevano aperto le loro fornaci e botteghe.

Orientali prima e veneziani dopo, fecero dell’isola uno dei centri più splendidi del mondo, da surclassare perfino le grandi scuole alessandrine e romane.


La Serenissima Repubblica veneta cercò a lungo di impedire che i segreti della lavorazione del vetro uscissero dallo stato, i maestri non potevano assolutamente andare a lavorare fuori dal loro territorio, pena gravissime sanzioni.

Ma, vi era sempre qualcuno che riusciva a eludere la stretta sorveglianza messa in atto alle frontiere.

Quindi i segreti muranesi diventarono di pubblico dominio per centinaia di allievi che accorrevano nelle botteghe che i maestri veneti aprivano in Europa; Inghilterra, Paesi Bassi, Liegi, Francia, Spagna e Portogallo.

Solo la Germania restò estranea a lungo a questo fenomeno per un motivo molto pratico, il vetro tedesco era di natura ben diversa da quello veneto perché veniva ricavato dalla potassa ottenuta con le ceneri del legno che abbondava in quelle regioni ricche di foreste, mentre la soda usata dai maestri muranesi proveniva dalle ceneri di piante marine, con l’aggiunta di piccole quantità di biossido di manganese che eliminava scorie e impurità, questo assicurava la limpidezza e una purezza eccezionale al prodotto.

Verso la fine del XVI secolo, un tedesco, Caspar LEHMANN, portò a splendere l’arte di intagliare il vetro nel suo paese, spingendo i suoi connazionali a cercare una qualità di vetro più pura e più limpida.

Nel XVII secolo fiorirono in Germania scuole ad altissimo livello; foggiavano degli stupendi oggetti in gara con la nostra Murano e il veneto in genere.


Giulia (continua)



IL GOTICO FRANCESE

Chartres, Parigi, Reims, Laon, Amiens, Rouen, Bayeux, Evreux, sono le otto Cattedrali gotiche francesi, dedicate a Notre-Dame, la Vergine Santa e tutte costruite verso il 1130.

Congiungendo i punti delle città dove sono state costruite, si traccia sulla mappa il disegno della costellazione della Vergine ( Segno zodiacale ).

Si dice che nel 1118 nove cavalieri francesi

Partirono per Gerusalemme; non erano crociati, né pellegrini e nemmeno monaci.

Davanti al re di Gerusalemme, Baldovino II fecero voto di povertà, castità e obbedienza.

La loro missione era segreta.

In loco i cavalieri si misero a guardia del luogo su cui era sorto il tempio di Re Salomone.

Furono detti cavalieri del tempio o templari.

Ma da chi furono inviati a Gerusalemme? E perché?

I Templari dovevano scoprire una legge più misteriosa e segreta, non proclamata, ma che deteneva la saggezza e la potenza.

Possedere queste Tavole significava avere conoscenza delle norme, delle misure e dei numeri che regolavano il mondo.

Le Antiche Scritture parlano in più punti di questa Tavola della Legge che Mosè custodì e nascose e che Salomone il re della saggezza ebbe la fortuna di possedere nel proprio tempio.

I Templari tentarono di ritrovarle.

Papi, Re, Imperatori avevano organizzato diverse battute in Terra Santa, in Persia, in India e persino in Cina.

Lo stesso Luigi Re di Francia inviò esploratori in Abissinia.

Ma tutti fallirono.

Anche i Templari?

La loro missione era segreta e segreto è rimasto l’esito.

Nessuno ha le prove che i Templari abbiano trovato le Tavole delle Leggi.

Però un dubbio esiste, perché, dieci anni dopo, nel 1128, ritornarono in Francia, si presentarono al Concilio di Troyes e chiesero di entrare nell’ordine religioso.

Due anni dopo iniziarono le costruzioni delle Cattedrali Gotiche.

Ancora non si spiega perché proprio a Chartres, piccolo villaggio di cinquemila contadini; fu il più ardito luogo di culto.

Inspiegabilmente contadini, pecorai e pastori si trasformarono in muratori, carpentieri e vetrai.

In queste Chiese vi sono migliaia di statue, di scene rappresentative, di dipinti in cui si racconta la storia dell’uomo, di Dio, di Gesù, dalla nascita alle sue glorie.

Ma non c’è una sola vetrata o una statua che raffiguri la crocefissione.

I Templari rifiutavano di ammettere che l’uomo crocifisso da Pilato fosse il loro vero Cristo.

La scienza tenta di dare una spiegazione.

Giulia (continua)


IL MISTERO DELLE CATTEDRALI

Forse quello era solo un posto dedicato alle preghiere.

O forse uomini primitivi e poi quelli pre-cristiani sapevano leggere nel cielo, orientarsi col sole e le stelle, forse con una sensibilità maggiore della nostra.

Guidati da un istinto cosmico “tenta di spiegare la scienza”.

Chartres e le altre cattedrali che ripetono il segno della vergine, sorgono dove i pagani veneravano una statua di legno che rappresentava una madre col bambino, questo era il culto della terra madre chiamata anche “la Vergine che partorirà”.

A Chartres i Druidi ne fecero il centro della loro religione prima ancora che fosse nato il cristianesimo e la venerazione della Vergine Nostra Signora, fu tramandata di secolo in secolo.

La statua era collegata nella cripta più sotterranea del tempio, pellegrini valicavano monti e paludi per pregarla.

L’età e il fumo delle ceneri l’annerì.

In seguito fu nominata “Vergine Nera”.

Quando i primi cristiani giunsero a Chartres, trovarono in quella grotta la prima Vergine col Bambino, conservarono statua e cripta e sopra vi eressero un tempio cristiano.

Scendendo nella grotta pagana abbiamo 37 mt. di profondità e 37 mt. è anche la volta eretta sopra il pozzo druido.

Nei portali della cattedrale vi è una scultura che riproduce il modello della Vergine Nera e lo stesso su una vetrata.

I costruttori di queste cattedrali si tramandavano da generazione in generazione i segreti delle soluzioni tecniche, l’armonia, la scienza dei calcoli impossibili, per imbrigliare spinte e controspinte, ogive, archi e volte.

Gli architetti che costruirono quelle opere, parevano possedere un segreto e una scienza che non erano dell’occidente.

Per realizzare una volta gotica dovettero inventare una geometria che permettesse, su un semplice disegno, le interpretazioni dei volumi e dei vuoti, l’accordo di spinte e di resistenze.

I muratori, i vetrai, gli scalpellini che eseguirono le opere erano maestri e venivano raggruppati in confraternite perché da loro non trapelasse nessun segreto.

In ogni cattedrale vi era un numero magico.

Scienziati moderni hanno cercato di scoprirlo con calcoli trigonometrici.

Si è trovato che Chartres (37 mt. lunghezza del coro e 14 di larghezza, la volta è alta 37 mt. la navata è lunga 74 mt.) ha tutti numeri che sono multipli di 0,37 e questo numero è esattamente la centomillesima parte del grado del parallelo che passa per la città di Chartres.

REIMS

E’ situata 49 gradi di latitudine nord con un grado di parallelo di 71 Km, l’unità di misura è di 1.42, la lunghezza della Cattedrale di Reims è di 142 mt, cioè il doppio di 71, il suo multiplo.

AMIENS

E’ A 49,51 di latitudine, parallelo di 70 Km, ebbene l’altezza della volta è di 70 volte 0,70 mt e la lunghezza dei transetti di 70 mt.

I costruttori di quelle cattedrali conoscevano a tal punto il globo terrestre da poter scegliere la misura più idonea dei loro monumenti in modo da rispettare un’armonia tra leggi matematiche, geografiche e astronomiche?

Da dove proveniva quella loro scienza?

La Vergine Nera delle vetrate di Chartres la chiamavano Sant’Anna che tiene in braccio la Vergine Bambina, Anna ha il volto nero e tre gigli bianchi a 5 punte.

Il nero e il bianco simboleggiano il passaggio dalla putrefazione della materia alla rinascita, mentre il numero 5 dei petali è il simbolo della donna; ma Anna come madre della madre è anche il simbolo della madre terra.

Il rosone formato da 8 fiori con 8 petali, l’otto (disposto orizzontalmente) Infinito-Eternità.

La rotazione delle rose simboleggia il passaggio dello stato di imperfezione materiale a quello di completezza spirituale.

I colori dei vetri nascondono un linguaggio.

Il nero è il disordine.

Il bianco la purezza.

Il rosso la perfezione.

La loro disposizione simboleggia il passaggio dell’uomo dalla materia alla perfezione.

I rosoni delle Cattedrali gotiche rappresentano il “viaggio” dell’uomo verso la trasformazione, la ricerca di una nuova identità.

Colori, figure, disegni, hanno un loro segreto intimo che i vetrai avevano appreso dagli alchimisti orientali, che a loro volta avevano imparato da popoli e culture millenarie.

Ancora qualche colore di rito.

IL NERO le tenebre, l’assenza della luce, la morte dell’uomo, il colore del caos dove tutto è confuso.

IL BIANCO come l’alba segue la notte, la luce dopo le tenebre, il colore della purezza e dell’innocenza.

IL GIALLO colore della trasformazione.

IL ROSSO colore del fuoco che brucia la materia.

Basta fissarli intensamente, quando la luce del sole li accende, perché una strana magia li metta in movimento.

E’ facile suggestione essere trasportati.

Sul pavimento delle cattedrali gotiche è rappresentato un labirinto.

Per i pellegrini che lo percorrevano sostituiva il pellegrinaggio in Terra Santa, ma significa anche il cammino dell’uomo verso la salvezza, non è un vero labirinto, ma un percorso obbligatorio segnato da cubetti di marmo blu e bianco.

Questi percorsi venivano nel passato guidati dallo stesso Vescovo a piedi nudi nel periodo di maggiori tensioni di correnti magnetiche (famosi girotondi di Pasqua).

Questo non per penitenza, ma perché il contatto con la Terra percorsa dalle correnti benefiche fosse più diretto.

Queste specie di danze finivano sempre al centro del labirinto, lì dove l’uomo cadeva stremato, ma anche trasformato.

E tante volte gli ammalati si rialzavano guariti nel corpo e sempre nello spirito.

Giulia (continua).


Madonna Nera di Chartres
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