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sabato 12 settembre 2009

HO ANCORA IL PALLORE DELLA LUNA SUL MIO VISO Dedicata ai miei nonni.
PREMESSA: Sono cresciuta con i miei nonni e quando sono mancati non ho avuto il coraggio di tornare nel paesino dove ho vissuto con loro, la casa dell'infanzia rimaneva un luogo per me immortale, fino a quando...
Camminavo. Una mano stretta a pugno in una delle tasche, le unghie piantate nel palmo della mano fino a quasi farmi male, l’altra a cingere il collo rialzato del cappotto.
Era quasi come sentirsi vecchi, presenti dall’inizio del mondo, passeggiare e nessuno per le strade, era il paese in cui vivevo un tempo, un mondo pieno di ricordi che si trascinano nel vento…avevo freddo…tutto come morto.
Erano spariti anche gli spettri, non era rimasta nemmeno polvere d’ossa su cui muovere i miei passi, solo mura vuote, imbrattate dalle nostre presenze.
Non avrei dovuto essere qui.
Tutto come ricordavo.
La casa bianca con le rose, al sole mi aveva sempre fatto un altro effetto, avrebbe potuto quasi riflettersi sulle onde, se ci fosse stato il mare, e invece guardava le verdi fronde dove neri corvi gracchiavano le loro storie, macabri, forse perché i soli…
Spariti anche i passeri con le loro ali bianche e grigie…c’era un cane che correva nel cortile, il suo padrone? Possibile che fosse solo?
No…non sono di qui, ero qui quando questo posto era ancora vivo, il mio nuovo mondo è ancora vivo, per poco forse, ma respira ancora, mentre questo sa di morte, per questo è così famigliare…Non sapevo quanto straziante potesse essere riguardare vecchi luoghi con un nuovo cuore…
Mi allontanai, piano, camminavo faticosamente, quasi il distacco fosse più che fisico, continuando a sentire lo scricchiolio dei sassi sotto le scarpe, come il sussurro languido di un morente…era un rumore quasi costante, ma alterno, la cadenza dei miei passi, il fruscio del mio cappotto…
Non ero mai stata così agghiacciata…nemmeno in quella notte nel passato in cui ero uscita dal mio corpo per non sentire… un terrore antico marchiato nella mia coscienza, ma il tempo aveva ripreso a scorrere e tutto era finito, fermato in quel nuovo immoto fluire…
“E per sempre vuol dire mai più” diceva una canzone.
A me aveva fatto uno strano effetto, come un brivido freddo lungo la schiena, come se già immaginassi quale sarebbe stato il futuro…e non l’avevo voluto…
Perché ero tornata? Non avrei dovuto lasciarmi trascinare dall’impulso, da quel sentimento improvviso ed impetuoso così dannatamente fragile e radicalmente impresso dentro di me. Ma era qui che ero giunta e non volevo fuggire, non volevo volgere le spalle, non volevo tornare al mio presente senza aver prima guardato dritto in volto il mio passato. Eppure ricordavo tutto perfettamente, mi morsi le labbra e alla fine sentii sulla mia lingua il sapore del mio stesso sangue…
Il sangue, forse ero tornata per quello, il sangue di quelli con cui avevo vissuto, avevo riso, coloro che avevo amato, quelli che mi avevano capita, che mi avevano considerata, o forse per l’oblio e la pace, limpida come le acque pure, un foglio bianco su cui ricominciare a scrivere…
Continuai a camminare.
Deserto, i pochi vecchi che pigri uscivano nei cortili, si guardavano intorno, mi gettavano un’occhiata distratta, senza scrutare sotto l’onda morbida dei miei capelli chiari, senza nemmeno intuire la piega del mio triste sorriso dietro il collo rialzato del cappotto…
Cos’ero venuta a cercare?
Davvero ero convinta che avrei ritrovato tutto come un tempo, persino l’ombra di me stessa, quella bambina incosciente, timida, capace di ridere e di perdersi l’istante dopo. Mi guardai attorno, il borgo, il legno s’era fatto scuro, la vernice s’era scrostata e i muri di mattoni s’erano incupiti, la famigliarità di un luogo guardato attraverso nuovi occhi.
Quanto tempo avevo trascorso in quello stesso posto, in compagnia di chi amavo, con cui ridevo fino alle lacrime per qualche minuto per rintanarmi quello dopo nei miei pensieri inutili, scrutando i loro occhi, spiando i loro sorrisi, cercando di capire se erano felici. Parlavano, ridevano, si chinavano in avanti sul tavolo, una nuova vita aveva preso forma tra loro che mi erano stati cari, avevo solo una decina d’anni ed ero parte di loro più di quanto io fossi mai stata.
Feci una smorfia… attraverso gli anni e la distanza avevo solo rimpianti e quando le nebbie s’erano alzate fitte sulle acque immote delle mie paure, il desiderio di loro era stato più forte, una nostalgia acuta e pungente, la malia del ritorno…
Ma ora non ero qui per questo, no…
Attraverso gli occhi della bambina che sarebbe cresciuta come un mattone conforme al resto della struttura, protetta e sostenuta da essa, adesso sapevo perfettamente che non ero venuta per rimpiangere qualcosa, ma per cercare la parte di me che credevo morta e perduta per sempre…
Camminai spedita nella notte fredda e straniera.
Nel buio… baluginio di fioche luci, riverbero di gemme verdi e brividi sulla mia pelle, sentii quella specie di fitta dentro, come se qualcuno strizzasse i miei organi interni, come se l’aria mi fosse aspirata dai polmoni e il mio sorriso tremò…ma non si ruppe…
Giulia

13 commenti:

  1. ciao giulia,mi inchino alla tua bravura,bellissimo scritto,è come una ricerca interiore,una sfida,grazie a te e al tuo scritto sono tornato nel mio passato,sai creare le giuste emozioni,x far vibrare l'anima,buona serata giulia.

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  2. Ciao Giulia....appena ti ho letta sono piombata qui come un siluro....il tuo entusiasmo mi ha trascinata e ti ringrazio tanto per ciò che hai scritto!
    Ma...ma...ma....
    Ma adesso che sono qui....ti ricambio ogni cosa è davvero stupendo ciò che scrivi, davvero....e capisco anche perchè hai apprezzato me.
    sarà un piacere grande seguirti!

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  3. Ciao Giulia piacere di conoscerti... grazie di avermi fatto visita... aggiunta ai miei lettori... e dei complimenti... cosa che contraccambio volentieri (sempre che a te non spiace)...
    Questi ricordi... malinconie... che portano alla ricerca di se stessi in un turbinio di emozioni... meraviglioso... complimenti!!!
    Ti lascio una dolce notte... un abbraccio e a presto

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  4. Complimenti...sei davvero brava..

    Ciao, ritornerò a trovarti! :-)

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  5. Ciao Giulia, grazie per esserti aggiunta alle mie "farfalle", il tuo blog è meraviglioso come lo sarai sicuramente tu!
    Un abbraccio a te e a Piumino

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  6. Bellissima descrizione! L'ho riletta più volte.... Ha suscitato in me belle sensazioni!
    Buona giornata

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  7. Ho letto tutto d'un fiato...
    Sai, condivido molto sentire di quello traspare dalle singole parole.
    Anche io sono cresciuta con i miei nonni materni, nel senso che hanno fatto parte come e più dei miei genitori parte della mia vita.
    Oggi non ci sono più.
    Lo scorso anno abbiamo venduto la loro casa.
    E' stato durissimo!
    Così poi anche io sono tornata in quei posti a cercarmi e a cercarli.

    Un bacio.

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  8. Ciao Giulia, sono tornata.

    I nonni? Essenza della vita...coloro che amano incondizionamente e quando mancano...rimane un vuoto incolmabile.
    Scritto emozionante.

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  9. Onorata ed incantata... complimenti.

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  10. Grazie Morgana della visita e del pensiero molto bello.
    Buona Domenica
    Giulia

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  11. Scrivi bene,c'è "disciplina" nella tua forma stilistica.Anche se certe sensazioni,certi sentimenti così peculiarmente femminili e personali,non riesco a coglierli fino in fondo pur intuendone l'intensità.Colpa della mia natura maschile,così diversa da quella femminile...nel mio caso nemmeno essere stato l'unico maschio con cinque sorelle,ha potuto svelarmene tutte le sfumature o tutti i misteri.Comunque,sono in buona compagnia se anche Freud l'ha considerata un mistero....-) Ciao, Leo

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  12. Sono onorata della visita Leone, ero attratta dalla tua scrittura e dalla comunione amatoriale degli autori prediletti.
    Credo che molto si assimili da ciò che ci circonda, sicuramente pecchi di modestia nel dichiarare di non coglierne fino in fondo l'essenza poiché a mio avviso se ne avverti e comprendi l'intensità parole e pensieri entrano di per sè nelle sensazioni intime.
    Grazie del gradito commento.
    Ciao
    Giulia

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Quadro dipinto su vetro da Giulia

SONO PERICOLOSE IN CASO D'URTO ?


Il fatto che la vetrata sia un mosaico di tessere di vetro la rende più resistente alla rottura, perché più elastica.
Le tessere sono generalmente piccole, lo stagno che le contorna non ne permette la caduta in caso d'urto.


Laboratorio Vetro in Arte - Stresa

Non sarà troppo da chiesa?


Spesso si teme che inserendo un vetro artistico nel proprio appartamento, l'abitazione prenda i connotati di una cattedrale.
Questo sicuramente perché le vetrate sono state utilizzate moltissimo nelle chiese e lo sono ancora. Addirittura si parla di vetrata cattedrale, mentre sarebbe più corretto dire "vetro cattedrale".
L'utilizzo delle vetrate nelle cattedrali nordiche era necessario, sia per raccogliere più luce possibile, sia per diminuire il peso che le fondamenta dovevano sorreggere.
Ma la collocazione nelle abitazioni private cambia il concetto d'uso, i disegni diventano più leggeri e sobri seguendo linee più armoniche in sintonia con l'arredamento.

LA LAVORAZIONE TIFFANY

"Tiffany" è una particolare tecnica creata da Louis Confort Tiffany, pittore e vetraio fra i principali esponenti dell'Art Noveau di fine ottocento.

Questa tecnica consiste nel tagliare forme di vetro ( anche di piccole dimensioni ) molarle con l'uso di una mola ad acqua e nastrarle con una sottile lamina di rame od ottone cosparsa di colla di pesce per farla aderire al vetro.

Unendo i pezzi come un puzzle si compone il lavoro definitivo che verrà saldato con una lega di stagno, argento e piombo.

La saldatura può essere brunita ( anticata ) con speciali acidi ossidanti che creano un effetto molto simile alle vetrate a piombo medievali.

E' una lavorazione molto "fine" con cui si ottengono risultati accurati e armoniosi, non raggiungibili con il piombo classico.

Giulia



Tutta la pubblicazione successiva fa parte della mia Tesi conclusiva della Scuola d'Arte frequentata. 1996.

STORIA DEL VETRO

In Europa nel primo medioevo le botteghe dei maestri vetrai sorgevano in località situate vicino a grandi foreste dalle quali traevano il combustibile necessario per fondere il materiale, soprattutto le felci, una volta incenerite davano origine alla potassa necessaria per la formazione del vetro.


Per questo la varietà tedesca di vetro in quel tempo (fra il verde ed il giallo-bruno) fu chiamata “vetro di foresta” mentre quella francese prese il nome di “vetro di felce”.


Nell'Asia Minore e in Egitto, intanto il livello dell'arte vetraria restava altissimo, vasi, bottiglie, coppe, piatti erano formati seguendo un sistema molto simile a quello che doveva far diventare poi famosa nel mondo l'arte dei vetri muranesi (quando il vetro era in stato di fusione si dava all'oggetto la forma desiderata usando delle lunghe pinze).


La decorazione veniva eseguita in un secondo momento applicando filamenti di vetro dello stesso colore o contrastante oppure si utilizzava la tecnica dell'intaglio; già nota da secoli sia a Roma che in Asia Minore.


L'arte islamica del vetro favoriva una grandissima utilizzazione del colore a scopo decorativo.

Il sistema usato era questo:
Smalti composti da materiali colorati a punto di fusione bassa, venivano stesi in uno o più strati sull'oggetto da decorare e poi fissati mediante una seconda cottura in forno (come ancora si fa oggi).


Considerevoli, tra i tanti oggetti che ci sono giunti intatti, sono alcune grandi lampade destinate ad illuminare le moschee, decorate con versetti del Corano datati fra il XII e il XIV secolo.


Il fatto che venivano sistemate molto alte sul soffitto, lontane dalle mani di chiunque, ha favorito la loro conservazione attraverso tanti secoli.
Giulia - (continua)




LE VETRATE DIPINTE

In Oriente, fra il X e il XIII secolo, si afferma un ramo particolare della vetreria, prima quello che riguarda le vetrate dipinte ed applicate sulle lunghissime e strette finestre e sui rosoni delle grandi chiese romaniche e poi su quelle gotiche.

Rapidamente la vetrata policroma istoriata con particolari della vita o dei miracoli di personaggi e santi si diffuse in tutta l'Europa attraverso gli ordini religiosi, in modo particolare attraverso i Benedettini che la usarono per tutte le loro chiese ed abbazie chiamando alcune volte illustri pittori per collaborare con i maestri vetrai per la realizzazione di opere stupende.
Fra le vetrate di chiese antiche, vi ricordo quelle della Cattedrale di Poitiers in Francia; risalgono al 1165 D.C. Circa.
Giulia - (continua)


Cattedrale gotica di Exeter Cornovaglia.

CHE COSA E' IL VETRO

In senso teorico è un materiale solido, amorfo (privo di forma), trasparente, ottenuto ad alta temperatura (1200/1500 C° - 1700 vetri speciali) un miscuglio di sabbia silicea e due basi, di cui una deve essere alcalina (viene impiegata soda) e l'altra un alcare terrosa (si impiega un calcare che deponendolo nel forno dà ossido di calcio e libera anidride carbonica) o un ossido di metallo pesante (piombo o zinco) e si lascia poi solidificare lentamente la massa liquida ottenuta.

A questi tre componenti essenziali vengono poi amalgamate altre sostanze con funzioni di fondenti, stabilizzanti, ossidanti, ecc.

Molto importante è anche la decolorazione del vetro che data la presenza inevitabile di alcuni sali ferrosi, si presenterebbe verdastra, (vedi le bottiglie che si usavano un tempo per imbottigliare il vino) si ripara a questo aggiungendo del biossido di manganese (comunemente chiamato sapone dei vetrai) che ossidando elimina l'inconveniente.

Il vetro così definito è detto vetro comune o vetro solido calcico. La sua composizione è molto variabile ma in media rappresentabile come segue:

SI -02=75% = NA 2 0=15% = CAO =10%

Oggi si producono almeno un migliaio di vetri diversi, destinati agli usi più disparati. Ne cito alcuni che più frequentemente si incontrano nelle applicazioni correnti.

IL VETRO CRISTALLO è un vetro di notevole brillantezza e trasparenza, nella sua lavorazione si impiegano ossidi di piombo e di potassio.

IL PIREX è un vetro borosilicato, particolarmente apprezzato per la sua resistenza meccanica e di calore.

IL VETRO DI JENA è di qualità particolarmente controllata, è un vetro contenente ossidi di zinco, bario e manganese ed è molto adatto alla fabbricazione di strumenti scientifici.

IL VETRO OPALINO è ottenuto realizzando una sospensione di piccole particelle nella massa base; poiché le particelle hanno un indice di rifrazione diverso da quello della matrice vetrosa, la luce viene diffusa e si ottiene un aspetto lattescente.

Giulia - (continua)



PRODUZIONE DEL VETRO FUSIONE

I fori per la fusione del vetro sono di due tipi, continui a bacino per grandi produzioni o discontinui a crugiolo per produzioni non rilevanti o a carattere qualitativo, normalmente essi sono riscaldati bruciando dei gas.

La fabbricazione degli oggetti in vetro può essere fatta a caldo (caso più frequente) o a freddo.

La lavorazione a caldo si effettua sulla massa vetrosa uscente dai forni e può essere automatica (riduzione in continuo di lastre, tubi, ecc.) o manuale, quest'ultima è oggi relativa a produzioni a carattere artistico o su scala artigianale.

L'operatore preleva sulla punta di un tubo una porzione di vetro fuso semiraffreddato e soffiando nel tubo aiutandosi con speciali utensili o stampi, provvede a formare uno per uno gli oggetti.

Sempre a caldo il vetro può essere stampato per ottenere oggetti come bicchieri, vasellami e simili. Gli oggetti in vetro lavorati a caldo devono essere cotti di nuovo per eliminare le tensioni interne che si creano nella massa per effetto del raffreddamento. L'artigiano si avvale in seguito delle tecniche di molatura e smerigliatura.

VETRO CEMENTO materiale composito ottenuto annegando nel calcestruzzo delle formelle di vetro; in tal modo si ottengono delle lastre impiegabili per lucernai, divisori, ecc. Può divenire addirittura strutturale nell'edilizia una volta armato.

VETRO ORGANICO termine corrente, ma estremamente improprio con il quale vengono indicate alcune resine (acriliche e viniliche) con le quali è possibile colare lastre o stampare oggetti di vario genere di aspetto molto simile ai prodotti in vetro vero.

Giulia - (continua)



Vetrofusione

LA MEMORIA DEGLI OGGETTI

Degli oggetti d'uso comune pochi sono giunti intatti sino a noi.

Possiamo però avere un'idea delle forme più in uso osservando le miniature, i dipinti, gli affreschi che venivano rappresentati con ricchi dettagli.

Così sappiamo che in epoca merovingia in Francia erano di moda le coppe fornite di piede, certe bottiglie dal collo molto lungo e dal corpo rotondeggiante, bicchieri conici ma con fondo piatto; in Germania nello stesso periodo si fabbricavano bicchieri conici con base molto stretta e decorazioni applicate a forma di piccole gocce.

Numerosi sono i trattati scritti sull'arte datati all'età medioevale, tutti interessanti per lo studio delle tecniche usate e la storia del costume.

Anche per l'età gotica sono pochi gli oggetti che possiamo studiare, numerose sono però le fonti iconografiche alle quali attingere.

In Francia grandi centri di produzione sorgevano in Lorena, in Normandia, in Provenza, presso i Pirenei, mentre l'arte vetraria assumeva una sua altissima dignità e grande amore tanto da assicurare a quanti la praticavano con particolare maestria il titolo nobiliare di "gentil homme verrier".

Giulia - (continua)


ARTE A VENEZIA

Un grande avversario si presentò all’orizzonte dei maestri vetrai francesi agli albori del Rinascimento; l’Italia.

Questa volta però non erano gli artigiani di Roma che si affacciavano alla storia dell’arte ma quelli fino allora quasi sconosciuti di una città giovane, sorta come per incanto sulle sponde dell’Adriatico; Venezia.


A Venezia erano affluiti nel corso del medioevo maestri vetrai e mosaicisti dell’Asia Minore, con l’incarico di fare della città una delle meraviglie del mondo.

Molti avevano lavorato per un certo periodo e poi erano tornati in patria, ma molti altri avevano preso dimora

stabile aprendo botteghe frequentate da allievi volenterosi, intelligenti e amanti del bello.

Non tardarono a diventare più abili dei loro insegnanti in tutte le arti decorative.


Costretti a rifugiarsi nell’isola di Murano a causa degli incendi violenti che spesso divampavano nei quartieri cittadini in cui avevano aperto le loro fornaci e botteghe.

Orientali prima e veneziani dopo, fecero dell’isola uno dei centri più splendidi del mondo, da surclassare perfino le grandi scuole alessandrine e romane.


La Serenissima Repubblica veneta cercò a lungo di impedire che i segreti della lavorazione del vetro uscissero dallo stato, i maestri non potevano assolutamente andare a lavorare fuori dal loro territorio, pena gravissime sanzioni.

Ma, vi era sempre qualcuno che riusciva a eludere la stretta sorveglianza messa in atto alle frontiere.

Quindi i segreti muranesi diventarono di pubblico dominio per centinaia di allievi che accorrevano nelle botteghe che i maestri veneti aprivano in Europa; Inghilterra, Paesi Bassi, Liegi, Francia, Spagna e Portogallo.

Solo la Germania restò estranea a lungo a questo fenomeno per un motivo molto pratico, il vetro tedesco era di natura ben diversa da quello veneto perché veniva ricavato dalla potassa ottenuta con le ceneri del legno che abbondava in quelle regioni ricche di foreste, mentre la soda usata dai maestri muranesi proveniva dalle ceneri di piante marine, con l’aggiunta di piccole quantità di biossido di manganese che eliminava scorie e impurità, questo assicurava la limpidezza e una purezza eccezionale al prodotto.

Verso la fine del XVI secolo, un tedesco, Caspar LEHMANN, portò a splendere l’arte di intagliare il vetro nel suo paese, spingendo i suoi connazionali a cercare una qualità di vetro più pura e più limpida.

Nel XVII secolo fiorirono in Germania scuole ad altissimo livello; foggiavano degli stupendi oggetti in gara con la nostra Murano e il veneto in genere.


Giulia (continua)



IL GOTICO FRANCESE

Chartres, Parigi, Reims, Laon, Amiens, Rouen, Bayeux, Evreux, sono le otto Cattedrali gotiche francesi, dedicate a Notre-Dame, la Vergine Santa e tutte costruite verso il 1130.

Congiungendo i punti delle città dove sono state costruite, si traccia sulla mappa il disegno della costellazione della Vergine ( Segno zodiacale ).

Si dice che nel 1118 nove cavalieri francesi

Partirono per Gerusalemme; non erano crociati, né pellegrini e nemmeno monaci.

Davanti al re di Gerusalemme, Baldovino II fecero voto di povertà, castità e obbedienza.

La loro missione era segreta.

In loco i cavalieri si misero a guardia del luogo su cui era sorto il tempio di Re Salomone.

Furono detti cavalieri del tempio o templari.

Ma da chi furono inviati a Gerusalemme? E perché?

I Templari dovevano scoprire una legge più misteriosa e segreta, non proclamata, ma che deteneva la saggezza e la potenza.

Possedere queste Tavole significava avere conoscenza delle norme, delle misure e dei numeri che regolavano il mondo.

Le Antiche Scritture parlano in più punti di questa Tavola della Legge che Mosè custodì e nascose e che Salomone il re della saggezza ebbe la fortuna di possedere nel proprio tempio.

I Templari tentarono di ritrovarle.

Papi, Re, Imperatori avevano organizzato diverse battute in Terra Santa, in Persia, in India e persino in Cina.

Lo stesso Luigi Re di Francia inviò esploratori in Abissinia.

Ma tutti fallirono.

Anche i Templari?

La loro missione era segreta e segreto è rimasto l’esito.

Nessuno ha le prove che i Templari abbiano trovato le Tavole delle Leggi.

Però un dubbio esiste, perché, dieci anni dopo, nel 1128, ritornarono in Francia, si presentarono al Concilio di Troyes e chiesero di entrare nell’ordine religioso.

Due anni dopo iniziarono le costruzioni delle Cattedrali Gotiche.

Ancora non si spiega perché proprio a Chartres, piccolo villaggio di cinquemila contadini; fu il più ardito luogo di culto.

Inspiegabilmente contadini, pecorai e pastori si trasformarono in muratori, carpentieri e vetrai.

In queste Chiese vi sono migliaia di statue, di scene rappresentative, di dipinti in cui si racconta la storia dell’uomo, di Dio, di Gesù, dalla nascita alle sue glorie.

Ma non c’è una sola vetrata o una statua che raffiguri la crocefissione.

I Templari rifiutavano di ammettere che l’uomo crocifisso da Pilato fosse il loro vero Cristo.

La scienza tenta di dare una spiegazione.

Giulia (continua)


IL MISTERO DELLE CATTEDRALI

Forse quello era solo un posto dedicato alle preghiere.

O forse uomini primitivi e poi quelli pre-cristiani sapevano leggere nel cielo, orientarsi col sole e le stelle, forse con una sensibilità maggiore della nostra.

Guidati da un istinto cosmico “tenta di spiegare la scienza”.

Chartres e le altre cattedrali che ripetono il segno della vergine, sorgono dove i pagani veneravano una statua di legno che rappresentava una madre col bambino, questo era il culto della terra madre chiamata anche “la Vergine che partorirà”.

A Chartres i Druidi ne fecero il centro della loro religione prima ancora che fosse nato il cristianesimo e la venerazione della Vergine Nostra Signora, fu tramandata di secolo in secolo.

La statua era collegata nella cripta più sotterranea del tempio, pellegrini valicavano monti e paludi per pregarla.

L’età e il fumo delle ceneri l’annerì.

In seguito fu nominata “Vergine Nera”.

Quando i primi cristiani giunsero a Chartres, trovarono in quella grotta la prima Vergine col Bambino, conservarono statua e cripta e sopra vi eressero un tempio cristiano.

Scendendo nella grotta pagana abbiamo 37 mt. di profondità e 37 mt. è anche la volta eretta sopra il pozzo druido.

Nei portali della cattedrale vi è una scultura che riproduce il modello della Vergine Nera e lo stesso su una vetrata.

I costruttori di queste cattedrali si tramandavano da generazione in generazione i segreti delle soluzioni tecniche, l’armonia, la scienza dei calcoli impossibili, per imbrigliare spinte e controspinte, ogive, archi e volte.

Gli architetti che costruirono quelle opere, parevano possedere un segreto e una scienza che non erano dell’occidente.

Per realizzare una volta gotica dovettero inventare una geometria che permettesse, su un semplice disegno, le interpretazioni dei volumi e dei vuoti, l’accordo di spinte e di resistenze.

I muratori, i vetrai, gli scalpellini che eseguirono le opere erano maestri e venivano raggruppati in confraternite perché da loro non trapelasse nessun segreto.

In ogni cattedrale vi era un numero magico.

Scienziati moderni hanno cercato di scoprirlo con calcoli trigonometrici.

Si è trovato che Chartres (37 mt. lunghezza del coro e 14 di larghezza, la volta è alta 37 mt. la navata è lunga 74 mt.) ha tutti numeri che sono multipli di 0,37 e questo numero è esattamente la centomillesima parte del grado del parallelo che passa per la città di Chartres.

REIMS

E’ situata 49 gradi di latitudine nord con un grado di parallelo di 71 Km, l’unità di misura è di 1.42, la lunghezza della Cattedrale di Reims è di 142 mt, cioè il doppio di 71, il suo multiplo.

AMIENS

E’ A 49,51 di latitudine, parallelo di 70 Km, ebbene l’altezza della volta è di 70 volte 0,70 mt e la lunghezza dei transetti di 70 mt.

I costruttori di quelle cattedrali conoscevano a tal punto il globo terrestre da poter scegliere la misura più idonea dei loro monumenti in modo da rispettare un’armonia tra leggi matematiche, geografiche e astronomiche?

Da dove proveniva quella loro scienza?

La Vergine Nera delle vetrate di Chartres la chiamavano Sant’Anna che tiene in braccio la Vergine Bambina, Anna ha il volto nero e tre gigli bianchi a 5 punte.

Il nero e il bianco simboleggiano il passaggio dalla putrefazione della materia alla rinascita, mentre il numero 5 dei petali è il simbolo della donna; ma Anna come madre della madre è anche il simbolo della madre terra.

Il rosone formato da 8 fiori con 8 petali, l’otto (disposto orizzontalmente) Infinito-Eternità.

La rotazione delle rose simboleggia il passaggio dello stato di imperfezione materiale a quello di completezza spirituale.

I colori dei vetri nascondono un linguaggio.

Il nero è il disordine.

Il bianco la purezza.

Il rosso la perfezione.

La loro disposizione simboleggia il passaggio dell’uomo dalla materia alla perfezione.

I rosoni delle Cattedrali gotiche rappresentano il “viaggio” dell’uomo verso la trasformazione, la ricerca di una nuova identità.

Colori, figure, disegni, hanno un loro segreto intimo che i vetrai avevano appreso dagli alchimisti orientali, che a loro volta avevano imparato da popoli e culture millenarie.

Ancora qualche colore di rito.

IL NERO le tenebre, l’assenza della luce, la morte dell’uomo, il colore del caos dove tutto è confuso.

IL BIANCO come l’alba segue la notte, la luce dopo le tenebre, il colore della purezza e dell’innocenza.

IL GIALLO colore della trasformazione.

IL ROSSO colore del fuoco che brucia la materia.

Basta fissarli intensamente, quando la luce del sole li accende, perché una strana magia li metta in movimento.

E’ facile suggestione essere trasportati.

Sul pavimento delle cattedrali gotiche è rappresentato un labirinto.

Per i pellegrini che lo percorrevano sostituiva il pellegrinaggio in Terra Santa, ma significa anche il cammino dell’uomo verso la salvezza, non è un vero labirinto, ma un percorso obbligatorio segnato da cubetti di marmo blu e bianco.

Questi percorsi venivano nel passato guidati dallo stesso Vescovo a piedi nudi nel periodo di maggiori tensioni di correnti magnetiche (famosi girotondi di Pasqua).

Questo non per penitenza, ma perché il contatto con la Terra percorsa dalle correnti benefiche fosse più diretto.

Queste specie di danze finivano sempre al centro del labirinto, lì dove l’uomo cadeva stremato, ma anche trasformato.

E tante volte gli ammalati si rialzavano guariti nel corpo e sempre nello spirito.

Giulia (continua).


Madonna Nera di Chartres
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